Per non dimenticare: la deportazione degli Ebrei bolognesi

Lapide Sinagoga
Su una parete della Sinagoga, al n. 2 di via Finzi, c’è una lapide che i ricorda gli ottantaquattro membri della Comunità Ebraica bolognese che non fecero più ritorno alle loro case dopo la deportazione nei campi di sterminio. Tra loro anche il rabbino Alberto Orvieto, che per ben quarantaquattro anni era stato a capo della Comunità stessa.

Dal novembre 1943 la razzia cominciò anche a Bologna. I reparti speciali delle SS che avevano “curato” la grande retata nel Ghetto di Roma (16 ottobre 1943) avevano ormai risalito la penisola. In città gli ebrei catturati furono dapprima una ventina; poi si arrivò all’alto numero di cui sopra. Il compito di questi reparti speciali era stato ulteriormente facilitato da una particolarità “burocratica” che si riscontrò solo a Bologna. Per quanto riguardava i cittadini di religione ebraica, infatti, di solito, esistevano due registri: uno dell’autorità italiana e uno dell’autorità tedesca. A Bologna no: il registro era unico.

Una delle protagoniste di quegli eventi fu Alba Valech che, fortunatamente sopravvissuta, raccontò come si era svolto il suo arresto e fece cenno anche ad un luogo di detenzione che si rivelò poi essere un’area militare conosciuta come Caserme Rosse, situato nella periferia nord della città, sulla via Corticella. In realtà, dall’ottobre 1943, tale area era tristemente stata trasformata in campo di transito e di smistamento per coloro che dovevano essere deportati.
Gli Ebrei catturati furono tutti disseminati tra Auschwitz e Bergen Belsen.

Nel 1938 in seguito alle leggi razziali gli Ebrei bolognesi subirono, come i loro correligionari, vessazioni di ogni tipo. Dall’espulsione dei docenti e degli studenti dalle scuole pubbliche e dall’Università alle limitazioni sul lavoro e nella vita privata. Ma la Comunità non si diede per vinta e si organizzò come potè.
Attraverso la DELASEM ( Delegazione Assistenza Emigrati) si riuscì anche ad aiutare coloro che erano venuti da altri Paesi per trovare protezione.

Mario Finzi

Mario Finzi

Membro di questa organizzazione fu Mario Finzi, magistrato e musicista, a cui è intestata la strada dove si trova la sinagoga bolognese. Proprio mentre svolgeva questa attività clandestina venne catturato, deportato e ucciso.

Qualcuno riuscì ad entrare nelle file della Resistenza, come Franco Cesana (il più giovane partigiano d’Italia) e l’avvocato Mario Jacchia.

Altri ancora trovarono soccorso presso famiglie italiane che, rischiando moltissimo, li nascosero e li protessero.
Di molti, divenuti loro malgrado tristemente protagonisti di queste vicende, si è riusciti a ricostruire il percorso. Si è presa coscienza del dovere di testimoniare anche attraverso la scrittura e negli ultimi anni si sono pubblicati diversi libri.

Tra breve, anche gli ultimi sopravvissuti non potranno più parlare; resteranno fortunatamente le loro testimonianze che aiuteranno le generazioni future a non dimenticare…

 

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