CORNELIA MARTINETTI E IL SUO SALOTTO BOLOGNESE

Cornelia Rossi Martinetti

 

Tra le donne da ricordare nella Bologna del XIX° secolo si può senz’altro annoverare Cornelia Barbara Rossi, moglie di Giovanni Battista Martinetti, architetto ticinese trasferitosi nella nostra città per seguire il padre e poi rimasto qui per completare gli studi e successivamente per il suo lavoro di architetto ed ingegnere urbanista.

Cornelia era nata a Lugo nel 1781 dal conte Domenico Rossi e dalla nobildonna bolognese Marianna Gnudi. Ricevette un’ottima educazione sia presso il Collegio delle Nobili di Modena sia da valenti maestri, tra i quali una grande figura dell’Ottocento bolognese, il Cardinale Giuseppe Mezzofanti. La sua formazione fu prettamente umanistica anche se il periodo storico vide svolte culturali decisive rispetto alla tradizione. La contessa conosceva le quattro principali lingue europee, discorreva in latino, sapeva di musica ed era maestra di civetteria. Sposò Giovanni Battista Martinetti nel 1802: il marito aveva diciassette anni più di lei ed era, come già ricordato, un valente architetto ed ingegnere (tra le sue realizzazioni: villa Spada; villa Aldini; il riassetto della Montagnola; il progetto per il Teatro Contavalli; il progetto per la nuova strada Porrettana, che collegava Bologna con Firenze, e innumerevoli altre).
Dopo le soppressioni del periodo napoleonico, Giovanni Battista Martinetti acquistò in via San Vitale (ora civico 56) l’antico complesso monastico di suore benedettine con l’annessa cripta della chiesa dei Santi Vitale e Agricola. Grazie alla sua inventiva, l’intero complesso fu trasformato in una dimora sfarzosa e assai bizzarra, che egli donò alla bellissima e giovane moglie. L’orto del convento fu trasformato in un vasto giardino all’inglese adorno di statue neoclassiche, fontane, colonne e tempietti immersi in una ricca vegetazione; l’antica cripta romanica a tre absidi semicircolari divenne invece una grotta con finte stalattiti.

Questa splendida casa era destinata a trasformarsi in uno dei salotti culturali meglio frequentati e più celebri d’Europa fino agli anni della Restaurazione Pontificia. L’affascinante e brillante contessa Cornelia aprì infatti i battenti ai migliori talenti del suo tempo, spesse volte risultandone la musa. Ugo Foscolo, ad esempio, le assegnò il ruolo di una delle tre Grazie nell’omonimo poema e anche Antonio Canova non rimase immune al suo fascino: si dice che avrebbe tentato di eseguirne un busto, ma che l’avesse poi distrutto perché non riusciva a riprodurre per intero la leggendaria bellezza della signora. Altri ospiti illustri del salotto e vittime del suo incanto furono Giacomo Leopardi, Stendhal, Byron e –si mormora- lo stesso Napoleone Bonaparte.

Come in tutti i salotti mondani, anche in quello di Cornelia risuonavano frivolezze e poesie, s’intrecciavano flirt, si spettegolava, si affidavano appalti ecc. ecc.. Le autorità ecclesiastiche non accettarono mai che la cripta si fosse tramutata in un covo di mondanità filobonapartista, e le critiche nei riguardi della contessa furono molte e assai dure.
Donna colta e raffinata, fu anche autrice di un romanzo: Amélie (pubblicato a Roma nel 1823).
Morto il marito nel 1830, venne colpita da una malattia agli occhi che la rese quasi cieca e diradò man mano le sue apparizioni in pubblico, un po’ per non rovinare il ricordo della sua bellezza ed anche perché non avrebbe potuto più sostenere il ruolo di ospite.

Anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1867, il celebre giardino fu smembrato dalle lottizzazioni novecentesche, la cripta tornò luogo di culto, il palazzo passò ad altri (ora è Scagliarini Rossi).
Il ricordo del fascino di Cornelia continua comunque ad aleggiare in città…e forse è proprio quello che lei stessa avrebbe desiderato.

Bologna, 3 agosto 2016
Daniela Schiavina

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